Strano è il lavoro del fotografo ritrattista che spesso si deve fare da parte perché il “suo” personaggio gli ruba la scena. Eppure è proprio l’attenzione e la cura con cui è stata realizzata la fotografia ad aiutare la persona ritratta ad acquisire la giusta personalità, a mettersi in mostra nel modo migliore. Marina Alessi queste cose le sa benissimo e proprio per questo, in fin dei conti, ha scelto una professione che le consente di stabilire un continuo contatto con i personaggi più diversi, da quelli che amano la notorietà a quelli che la rifuggono, da quelli timidi agli sfrontati, dai disponibili agli indisponenti.
Nata a Roma nel 1960, Marina Alessi da tempo lavora nel mondo dello spettacolo realizzando campagne e copertine di dischi di musica leggera, fotografie di scena per il teatro e il cinema, servizi per case editrici. Ma il ritratto è il perno attorno al quale ruota tutto il suo lavoro: le sue sono immagini ben composte e studiate, mai realizzate con la rapidità del reporter, semmai con lo stesso garbo con cui un tempo lontano i primi ritrattisti mettevano in posa i loro soggetti di fronte alle ingombranti macchine fotografiche da studio.
Proprio a una di queste anche se di recente costruzione – la Polaroid Giant capace di utilizzare una pellicola a sviluppo immediato a rullo che dà come risultato immagini delle dimensioni 50×60 centimetri – la fotografa ha fatto ricorso per “Facce da leggere”, un progetto nato per raccogliere i ritratti realizzati a scrittori e letterati. Pochissimi qui erano gli elementi, il soggetto e la macchina si fronteggiavano e spettava alla fotografa governare gli attimi, sfruttare gli spazi, inventare soluzioni per evitare il rischio della ripetitività. Se Roberto Saviano compare in piedi in tutta la sua significativa presenza, Doris Lessing sorride da seduta come una rassicurante amica di famiglia, se Alessandro Bergonzoni si moltiplica in tre come volesse così alludere ai giochi speculari dei suoi monologhi, l’ex magistrato Gherardo Colombo occupa solo una parte dell’immagine da cui sembra mandarci preziosi suggerimenti a mantenere vivi attenzione e senso critico. Equilibrati, attentamente composti, dotati di quel particolare fascino conferito loro dalle tonalità cromatiche tipiche della emulsione polaroid, i ritratti di “Facce da leggere” appartengono a pieno diritto al mondo della fotografia classica ma dimostrano anche una vivacità espressiva che li rende fortemente contemporanei.
Molto diverso è, invece, il lavoro recentemente realizzato dove i protagonisti sono alcuni fra i più noti writer e urban artist italiani. All’inizio il lavoro – la ricerca dei personaggi, lo studio degli stili, la frequentazione di questo particolarissimo mondo – ha assunto il ritmo caro al reportage ma per l’esito finale Marina Alessi ha pensato a qualcosa di molto diverso, a un progetto aperto. Dapprima ha realizzato a ciascuno autore un ritratto in primo piano e uno a figura intera: anche in questo caso lo stile della fotografa era legato al tipo di macchina utilizzata, una fotocamera mezzo formato che richiedeva compostezza ma consentiva anche un certo dinamismo. A questo punto, dopo aver stampato le fotografie su una preziosa carta cotone, la fotografa ha consegnato i ritratti ai personaggi ripresi cui ha affidato il compito di intervenire sulla superficie lasciando loro la libertà di farlo nel modo che ritenevano più adeguato e personale.
Il risultato è sorprendente perché si deve attribuire nella stessa misura alla fotografa come ai personaggi che dapprima si sono messi in posa e poi sono intervenuti da autori sulle superfici, in una prima fase hanno accettato la visione di Marina Alessi e nella seconda l’hanno modificata per adeguarla alla loro. Ne è risultata una galleria di personaggi che hanno alternato il rapporto fra immagine e scrittura di Airone al sottile grafismo con cui Matteo Donini ricopre di tatuaggi in china il suo petto nudo, che si sono inseriti nei loro disegni come ha fatto Ozmo con un’opera di forte sapore teatrale o che sono scivolati nel gioco surreale di Pus dove uomini e insetti dialogano come in un performance, che si sono nascosti il viso sotto il bavero come BO130 o sono rimasti in mutande come BOL circondato simbolicamente dalle parole che occupano tutto lo spazio che lo circonda.